Lamiere e vecchi oggetti scartati, destinati alle discariche diventano opere d’arte. Materiali abbandonati che arrivano dalle isole ecologiche a cui Franco Farina, artista salentino, ha conferito una nuova vita trasformandoli in “materiale pittorico”. Così ecco San Francesco, il santo del Cantico delle Creature, che guardava alla Terra come Madre, creato da lamiere, scatole di biscotti e di caramelle, lattine di olio oppure l’Arcangelo Gabriele con i riccioli fatti dai tappi di bottiglia e San Sebastiano trafitto dal filo spinato. E Persefone, la dea del sottosuolo, che vorrebbe salvare il mondo dalla distruzione. Sono alcune delle 18 opere in mostra a Palazzo Brancaccio fino al 1° marzo 2024 dal titolo “Gli occhi della terra”, curata da Craving Art di Alessia Dei con il patrocinio della Fondazione UniVerde e l’università La Sapienza. L’introduzione è di Angelo Consoli, seguace delle teorie dell’economista Jeremy Rifkin e presidente del Circolo europeo della terza rivoluzione industriale.
Ma quella di Franco Farina – il suo impegno sul tema dell’ecologia permea molti suoi lavori – non è solo una mostra che ricollega la bellezza alle questioni che riguardano il nostro pianeta, come l’economia circolare e l’emergenza legata al consumo e lo scarto.
La mostra a Palazzo Merulana
“Questa mostra è un atto di contestazione, un grido di protesta in faccia all’indifferenza che affligge il nostro mondo”, spiega Farina, che nasce come antiquarto e vive ad Ostuni, “È una mostra fortemente politica, nel senso che si occupa del luogo in cui viviamo. Una società in cui ciò che non è trendy si butta, solo perché non è compreso, oppure semplicemente non lo riteniamo più interessante. Per me, gli oggetti racchiudono l’ingegno dell’uomo, la sua creatività. Per questo credo che lo scarto racchiude la metafora della società che non solo esclude le cose non più alla moda, ma si disfa anche delle persone che non comprende, che considera non allineate al senso comune. Sono gli incompresi a venire esclusi”.
Dalle pareti della grande sala di Palazzo Brancaccio, pensata come una grande piazza, si affacciano le 18 opere che rappresentano personaggi comuni e santi con grandi occhi che scrutano il mondo. Sono tutti rivolti verso la scena centrale, dove le due sculture di San Francesco e Persefone a grandezza naturale, poste l’una di fronte all’altra a braccia aperte dialogano tra loro. “Perché san Francesco? Perché si può considerare quasi il primo ecologista della storia, il primo ad essersi rivolto alla terra, come madre. Per questo ho voluto che esprimesse tutta la compassione possibile, quasi ad invitare a prenderci cura della casa comune.
Persefone, invece è una donna che ha le conoscenze del sottosuolo, di quello che c’è nell’ombra. Dai suoi occhi sprigiona una furia disperata: le sue mani artigliate materializzano un grido che è monito”.
Attorno a loro assistono alla scena “La Donna Blu” dalla finestra di un chiosco, “I Coniugi” dal loro letto, ma a colpire è l’opera le “Braccia di Mare” riprese mentre annaspano lottando per sopravvivere chiedendo di ascoltare il loro lamento. C’è poi “La Ragazza” e “La Watussa” che hanno in mano simboli di speranza.
L’aureola sopra la testa di San Francesco è stata ricavata da una gabbia di protezione per ventilatori raccolta in un’isola ecologica a Taranto e poi c’è la Madonna delle forbici. Spiega Farina: “Come si trasforma un oggetto scartato in un’opera d’arte? Bisogna cambiare l’approccio verso ciò che riteniamo inutile. A cosa diamo lo status di rifiuto. Ci sono modi differenti per guardare la stessa cosa, punti di osservazione”.
Le grandi figure fatte di lamiera di Franco Farina lasciano comunque intravedere la speranza di far rivivere la bellezza. Non c’è molto tempo però. Sulle sue opere irrompe la ruggine volutamente lasciata in primo piano, come le forbici sul corpo della Madonna. Un’altra metafora. Sembrano quasi ricordarci come il consumo esasperato, creando emissioni di anidride carbonica e smog, stiano logorando il Pianeta.
Fiammetta Cupellaro
Giornalista
Lamiere e vecchi oggetti scartati, destinati alle discariche diventano opere d’arte. Materiali abbandonati che arrivano dalle isole ecologiche a cui Franco Farina, artista salentino, ha conferito una nuova vita trasformandoli in “materiale pittorico”. Così ecco San Francesco, il santo del Cantico delle Creature, che guardava alla Terra come Madre, creato da lamiere, scatole di biscotti e di caramelle, lattine di olio oppure l’Arcangelo Gabriele con i riccioli fatti dai tappi di bottiglia e San Sebastiano trafitto dal filo spinato. E Persefone, la dea del sottosuolo, che vorrebbe salvare il mondo dalla distruzione. Sono alcune delle 18 opere in mostra a Palazzo Brancaccio fino al 1° marzo 2024 dal titolo “Gli occhi della terra”, curata da Craving Art di Alessia Dei con il patrocinio della Fondazione UniVerde e l’università La Sapienza. L’introduzione è di Angelo Consoli, seguace delle teorie dell’economista Jeremy Rifkin e presidente del Circolo europeo della terza rivoluzione industriale.
Ma quella di Franco Farina – il suo impegno sul tema dell’ecologia permea molti suoi lavori – non è solo una mostra che ricollega la bellezza alle questioni che riguardano il nostro pianeta, come l’economia circolare e l’emergenza legata al consumo e lo scarto.
La mostra a Palazzo Merulana
“Questa mostra è un atto di contestazione, un grido di protesta in faccia all’indifferenza che affligge il nostro mondo”, spiega Farina, che nasce come antiquarto e vive ad Ostuni, “È una mostra fortemente politica, nel senso che si occupa del luogo in cui viviamo. Una società in cui ciò che non è trendy si butta, solo perché non è compreso, oppure semplicemente non lo riteniamo più interessante. Per me, gli oggetti racchiudono l’ingegno dell’uomo, la sua creatività. Per questo credo che lo scarto racchiude la metafora della società che non solo esclude le cose non più alla moda, ma si disfa anche delle persone che non comprende, che considera non allineate al senso comune. Sono gli incompresi a venire esclusi”.
Dalle pareti della grande sala di Palazzo Brancaccio, pensata come una grande piazza, si affacciano le 18 opere che rappresentano personaggi comuni e santi con grandi occhi che scrutano il mondo. Sono tutti rivolti verso la scena centrale, dove le due sculture di San Francesco e Persefone a grandezza naturale, poste l’una di fronte all’altra a braccia aperte dialogano tra loro. “Perché san Francesco? Perché si può considerare quasi il primo ecologista della storia, il primo ad essersi rivolto alla terra, come madre. Per questo ho voluto che esprimesse tutta la compassione possibile, quasi ad invitare a prenderci cura della casa comune.
Persefone, invece è una donna che ha le conoscenze del sottosuolo, di quello che c’è nell’ombra. Dai suoi occhi sprigiona una furia disperata: le sue mani artigliate materializzano un grido che è monito”.
Attorno a loro assistono alla scena “La Donna Blu” dalla finestra di un chiosco, “I Coniugi” dal loro letto, ma a colpire è l’opera le “Braccia di Mare” riprese mentre annaspano lottando per sopravvivere chiedendo di ascoltare il loro lamento. C’è poi “La Ragazza” e “La Watussa” che hanno in mano simboli di speranza.
L’aureola sopra la testa di San Francesco è stata ricavata da una gabbia di protezione per ventilatori raccolta in un’isola ecologica a Taranto e poi c’è la Madonna delle forbici. Spiega Farina: “Come si trasforma un oggetto scartato in un’opera d’arte? Bisogna cambiare l’approccio verso ciò che riteniamo inutile. A cosa diamo lo status di rifiuto. Ci sono modi differenti per guardare la stessa cosa, punti di osservazione”.
Le grandi figure fatte di lamiera di Franco Farina lasciano comunque intravedere la speranza di far rivivere la bellezza. Non c’è molto tempo però. Sulle sue opere irrompe la ruggine volutamente lasciata in primo piano, come le forbici sul corpo della Madonna. Un’altra metafora. Sembrano quasi ricordarci come il consumo esasperato, creando emissioni di anidride carbonica e smog, stiano logorando il Pianeta.
Fiammetta Cupellaro
Giornalista
Lamiere e vecchi oggetti scartati, destinati alle discariche diventano opere d’arte. Materiali abbandonati che arrivano dalle isole ecologiche a cui Franco Farina, artista salentino, ha conferito una nuova vita trasformandoli in “materiale pittorico”. Così ecco San Francesco, il santo del Cantico delle Creature, che guardava alla Terra come Madre, creato da lamiere, scatole di biscotti e di caramelle, lattine di olio oppure l’Arcangelo Gabriele con i riccioli fatti dai tappi di bottiglia e San Sebastiano trafitto dal filo spinato. E Persefone, la dea del sottosuolo, che vorrebbe salvare il mondo dalla distruzione. Sono alcune delle 18 opere in mostra a Palazzo Brancaccio fino al 1° marzo 2024 dal titolo “Gli occhi della terra”, curata da Craving Art di Alessia Dei con il patrocinio della Fondazione UniVerde e l’università La Sapienza. L’introduzione è di Angelo Consoli, seguace delle teorie dell’economista Jeremy Rifkin e presidente del Circolo europeo della terza rivoluzione industriale.
Ma quella di Franco Farina – il suo impegno sul tema dell’ecologia permea molti suoi lavori – non è solo una mostra che ricollega la bellezza alle questioni che riguardano il nostro pianeta, come l’economia circolare e l’emergenza legata al consumo e lo scarto.
La mostra a Palazzo Merulana
“Questa mostra è un atto di contestazione, un grido di protesta in faccia all’indifferenza che affligge il nostro mondo”, spiega Farina, che nasce come antiquarto e vive ad Ostuni, “È una mostra fortemente politica, nel senso che si occupa del luogo in cui viviamo. Una società in cui ciò che non è trendy si butta, solo perché non è compreso, oppure semplicemente non lo riteniamo più interessante. Per me, gli oggetti racchiudono l’ingegno dell’uomo, la sua creatività. Per questo credo che lo scarto racchiude la metafora della società che non solo esclude le cose non più alla moda, ma si disfa anche delle persone che non comprende, che considera non allineate al senso comune. Sono gli incompresi a venire esclusi”.
Dalle pareti della grande sala di Palazzo Brancaccio, pensata come una grande piazza, si affacciano le 18 opere che rappresentano personaggi comuni e santi con grandi occhi che scrutano il mondo. Sono tutti rivolti verso la scena centrale, dove le due sculture di San Francesco e Persefone a grandezza naturale, poste l’una di fronte all’altra a braccia aperte dialogano tra loro. “Perché san Francesco? Perché si può considerare quasi il primo ecologista della storia, il primo ad essersi rivolto alla terra, come madre. Per questo ho voluto che esprimesse tutta la compassione possibile, quasi ad invitare a prenderci cura della casa comune.
Persefone, invece è una donna che ha le conoscenze del sottosuolo, di quello che c’è nell’ombra. Dai suoi occhi sprigiona una furia disperata: le sue mani artigliate materializzano un grido che è monito”.
Attorno a loro assistono alla scena “La Donna Blu” dalla finestra di un chiosco, “I Coniugi” dal loro letto, ma a colpire è l’opera le “Braccia di Mare” riprese mentre annaspano lottando per sopravvivere chiedendo di ascoltare il loro lamento. C’è poi “La Ragazza” e “La Watussa” che hanno in mano simboli di speranza.
L’aureola sopra la testa di San Francesco è stata ricavata da una gabbia di protezione per ventilatori raccolta in un’isola ecologica a Taranto e poi c’è la Madonna delle forbici. Spiega Farina: “Come si trasforma un oggetto scartato in un’opera d’arte? Bisogna cambiare l’approccio verso ciò che riteniamo inutile. A cosa diamo lo status di rifiuto. Ci sono modi differenti per guardare la stessa cosa, punti di osservazione”.
Le grandi figure fatte di lamiera di Franco Farina lasciano comunque intravedere la speranza di far rivivere la bellezza. Non c’è molto tempo però. Sulle sue opere irrompe la ruggine volutamente lasciata in primo piano, come le forbici sul corpo della Madonna. Un’altra metafora. Sembrano quasi ricordarci come il consumo esasperato, creando emissioni di anidride carbonica e smog, stiano logorando il Pianeta.
Fiammetta Cupellaro
Giornalista