ALCUNE MIE OPERE
I AM
MARK PRESTON
I LIVE IN NY
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FRIENDS
Come ama dire Franco Farina creare è un concetto altezzoso, un artista non crea nulla ma accosta: colori, forme, materiali, idee, sentimenti… Le sue opere invece sono umili e rispettose dell’ambiente: non nascono ma rinascono nell’affascinante ciclo della vita. E fai fatica a farle stare in un cerchio: dei santi delle donne dell’eros o dei fiori, a meno che il cerchio sia una spirale intorno alla vita…
CARMELA GRISOLIA
Abbiamo invitato Franco a cena una sera e ci ha chiesto se poteva portare una sua amica, si è presentato con una “donna importante” ci ha detto, una vatussa di quattro metri. L’abbiamo ospitata in tutta la sua “grandezza” nella nostra casa nel centro storico di Ostuni per mesi senza che risultasse mai invadente, senza mai stancarci, ci è stata vicino durante il covid con tutta la sua forza.
È così: Franco Farina riesce a trasformare gli scarti in poesia e la lamiera in velluto.
MILLY e PIETRO MANTELLI
Dei quadri di Franco Farina mi ha colpito l’accoppiamento dei colori e la sua ironia che traspare dall’incontro della mitologia classica con la sua fantasia.
Opere di grandi dimensioni che ricordano sculture, con la presenza di materiali di scarto, dimenticati dalla società e recuperati dall’artista per dar loro nuova vita.
Ho trovato geniale e di grande effetto l’utilizzo di vecchie lattine che magicamente diventano i capelli delle sue figure.
Il quadro che ho scelto: l’Annunciazione… Amore a prima vista!
PAOLA FAVALE
Franco è un amico. Una persona affettuosa e generosa, colta, arguta e conviviale (e cucina piatti squisiti…!)
Ma quando entro nel suo laboratorio capisco che c’è anche un lato molto misterioso e sorprendente in Franco: le sue visioni, quelle che partono da un pezzo di lamiera arrugginita e la trasformano in una pantera che ti guarda potente ed orgogliosa.
MARINA MANTELLI
Ho visitato la mostra ”Scarti” abitandone le ultime ore dell’ultimo giorno, gustando il passaggio dalla luce del pomeriggio di fine ottobre alla luce del tramonto che, dopo essersi fusa per un po’ con le luci artificiali, si è elegantemente ritirata.
La discarica del Comune di Crispiano, che ospitava la mostra, era diventata una casa, con le sue camere piene di vita materiale e di sogni, di sudore e di stupore, di necessità e di spirito. E, come in una casa, sentivo di attraversare provvisori equilibri di un luogo sospeso, espresso dal mondo che lo circondava ma al quale opponeva resistenza, assumendo pian piano la felice immoralità di un’incrinatura nella totalità che premeva da ogni parte.
E gli “scarti” erano nella continua scoperta delle opere di Franco Farina, che testimoniano una percezione graffiante delle cose, un contatto stridente che percorre il mondo degli oggetti, trasformandoli in immagini di ciò che è scabro, forme di una sensazione che non trova la felice continuità della carezza, forme nelle quali la superficie delle cose si mette a vibrare, a stridere lievemente.
Ammirando le opere immaginavo le mani, gli attrezzi, la complicità e la ritrosia dei materiali, il suono delle forbici, del martello, della pistola sparapunti: l’arte è un raddoppiamento di vita, ma nel senso che emula le sorprese che eccitano la coscienza, impedendole di assopirsi.
Le parole che le opere di Franco Farina ispirano fanno tutt’uno con l’immediatezza del “fare”: progettare, cercare, modellare, assemblare (provare e riprovare), fissare… fanno tutt’uno con i materiali comuni, quotidiani utilizzati: legno, latta, alluminio, vernici…
Considero la sua arte “generativa”: la “lettura” dei suoi lavori, oltre l’esperienza estetica dello sguardo, fa nascere il desiderio di mettere in moto il pensiero, il corpo, le mani, per coprire l’universo con i nostri disegni vissuti, non esatti, ma intonati al nostro spazio interiore. Come una porta socchiusa che basta spingere delicatamente, i cui cardini sono oliati. “Le porte che si aprono sulla campagna sembrano dare una libertà alle spalle del mondo” (R. G. de La Serna).
Le opere di “Scarti” testimoniano l’attività di un’immaginazione che, nella sua freschezza, costruisce oggetti strani con materiali familiari. Con un dettaglio poetico, essa si colloca (e ci colloca, secondo me) davanti a un mondo nuovo. Allora il dettaglio comincia ad avere il sopravvento sul panorama. Risolvendo i piccoli problemi ci insegna a risolverne di grandi.
AUGUSTA DALL’ARCHE