Franco Farina trasforma materiali destinati all’oblio in opere d’arte.
Attraverso la selezione di lamiere, di vecchi oggetti e altri scarti che avrebbero incontrato la loro fine nelle discariche, l’artista plasma, con un’immaginazione straordinaria, figure mitologiche, religiose e profane, conferendo una nuova vita a questi materiali abbandonati. Sono pezzi di oggetti che hanno finito il loro ciclo vitale, che sono stati sfruttati finché diventati inutilizzabili nella quotidianità, e per questo già dimenticati.
Questi materiali, divengono per l’artista, materia pittorica, come colore sulla tavolozza. I segni lasciati dal tempo, la ruggine, le ammaccature e la polvere contribuiscono a creare l’opera. Le lamiere di vecchi contenitori sono sagomate e sovrapposte fino a comporre l’immagine, poi inchiodate su supporti fatti, spesso, di legni di recupero come ante di armadi e piani di tavoli.
Anche gli stessi colori sono realizzati attraverso materie recuperate.
Il concetto di riciclo è qui inteso come strettamente legato all’individuo e alla sua vita. Riciclare la materia attraverso l’arte, quella più vicina all’artigianato, dato il contributo manuale e tecnico che il lavoro di Farina comporta, è un modo allegorico per recuperare la propria esistenza, confrontarsi intimamente con la propria storia, il proprio dolore, come fonte di nuova vita. Come questi oggetti rifiutati, che rinascono migliori di prima, con valori più profondi.
Franco Farina trae ispirazione osservando il mondo, come fanno i due grandi occhi di lamiera inchiodati sul fianco di un vecchio armadio.
L’artista, come un creatore (Nota dell’artista: “Creatore è una parola che non uso mai, troppo grande, forse artefice. Quando parlo delle opere dico, fare, comporre, costruire… e non è per falsa modestia.) espira il suo soffio vitale che dona una nuova vita, trasformando il rifiuto in opera d’arte, senza tener conto di sovrastrutture e di convenzioni che comunemente la definiscono.
Il concetto di creazione è innato nella pratica artistica, dove l’idea viene incarnata dalla materia stessa che la rappresenta. I rifiuti hanno così assunto la forma di personaggi orgogliosi e rispettabili, come la materia che li compone e che gli dà vita.
Grazie al richiamo affettivo dell’artista, pur essendo terminato il loro ciclo vitale e non essendoci rimasto nulla da sfruttare, hanno l’opportunità di rinascere, ma senza lasciar andare nulla della loro essenza, delle loro esperienze e della loro storia, senza la quale perderebbero la forza e la bellezza, che va al di là della pura apparenza (Nota dell’artista: “Hai appena espresso il concetto di riutilizzo che io preferisco usare al posto di riciclo e che approfondirai più avanti”).
Attraverso l’iconografia mitologica o sacra ed i suoi riferimenti simbolici, come anche i personaggi comuni, l’artista affronta tematiche esistenziali che mettono a confronto la natura dello scarto con la vita stessa e le sue qualità, spesso mai emerse.
La potenzialità dell’individuo è il tema di fondo, qualsiasi sia il soggetto.
Le sue opere, infatti, sollecitano ad una riflessione introspettiva attraverso un messaggio propulsivo che ci porta a rafforzarci attraverso le nostre stesse ferite.
I segni lasciati dal tempo e i dolori ci hanno condotto dove siamo.
Lo scarto appartiene alla vita, ne è metafora. E come essa conserva i segni del suo scorrere e delle sue esperienze.
La vita umana è effimera e breve e ancor di più lo sono i suoi apparati materiali, che la rappresentano e la anticipano, con le graffiature e le ammaccature che non si possono cancellare.
Ogni nuovo istante vissuto è una macchia indelebile che crea l’identità.
Ogni presente è la somma di tutti i passati, in una sequenza di passaggi trasformativi.
La capacità di trasformare materiali recuperati in opere d’arte evoca anche una riflessione sulla nostra società consumistica e sul ciclo perpetuo di creazione e distruzione.
Lo scarto è obbligatoriamente legato anche a temi ecologici e senza dubbio questa mostra non può non stimolare considerazioni a riguardo. Franco Farina si allontana però dal concetto comune di riciclo, perché le sue opere mantengono, con forza, la loro identità di scarto.
Non hanno subito un rinnovamento, né una pulizia estetica e di significato.
Pur conservando, consapevolmente, le tracce della loro funzione innata, rimangono quello che ormai sono, rifiuti.
Osservare ogni opera esposta in questa mostra evoca un richiamo, sia per la tecnica, sia per la profondità emotiva che emana. Nasce una duplicità tra la visione complessiva, che vuole abbracciare il significato profondo dell’opera, e una dettagliata, che si sofferma sui particolari, per scoprirne l’origine, il tempo a cui appartiene, e la vita che ha vissuto.
Ogni elemento si contende l’attenzione dello spettatore, contemporaneamente, sullo stesso piano d’azione.
Queste opere somigliano a tele dipinte, ma allo stesso tempo diventano scultoree, perché si staccano dalla superficie ed entrano nello spazio tridimensionale dello spettatore.
La materia vissuta non può, dunque, lasciare indifferenti.
L’osservatore non può non sentirne l’attrazione, e si perde nella contemplazione delle figure e di ogni loro dettaglio, riflettendo su molteplici aspetti: la rappresentazione, l’idea del riutilizzo, i singoli elementi che la compongono e la loro funzione originale.
L’occhio poi può riposarsi nelle ampie zone d’aria, dove non vi è la tensione dei pezzi metallici sagomati che si moltiplicano, ma solo colore e materia piana, in un equilibrio perfetto.
Chi le osserva ne esce quasi confuso, fatica a riconoscere se sia focale la materia o la rappresentazione.
Essenziale è il rapporto che sia crea tra queste opere e chi le contempla, che forzatamente viene indotto a rimettersi in contatto con ciò che aveva rifiutato, cancellato dalla propria memoria perché ormai divenuto inutile.
Questo confronto psicologico comporta una riflessione sulla potenzialità, sulle occasioni perse, sul non aver conosciuto o voluto conoscere, sul riscoprire sé stessi, sull’approfondire e vedere al di là di ciò che ci impongono le convenzioni.
C’è stato un rapporto frequente, a partire dall’inizio del 900, tra l’arte e gli oggetti di uso comune come gli scarti.
Gli artisti hanno cominciano a trarre ispirazione dalla quotidianità, dalla città e da ciò che li circondava, appropriandosene come mezzo di espressione artistica.
L’idea del riutilizzo di materiali nell’arte inizia con Pablo Picasso, nel 1914, con il suo primo collage. Incollava carta da parati, giornali, catoni sagomati, ecc., per creare, dall’assemblaggio, una nuova interpretazione della realtà.
Marcel Duchamp, acquistava oggetti comuni nei negozi di Parigi, e li risignificava intellettualmente per il solo fatto di essere dichiarati opere d’arte.
Robert Rauschenberg, negli anni 60, realizzava i Combine, oggetti della sua scrivania, ricordi o scarti, assemblati e verticalizzati per invadere lo spazio dell’osservatore, come il suo stesso Letto sgocciolato di vernice da appendere alla parete.
Schwitters, in Germania, ha creato con i rifiuti, oltre ai collage, un intero appartamento.
In Italia, Alberto Burri ha cucito insieme vecchi sacchi di juta usati, creando astrazioni intellettuali. L’utilizzo di questi materiali, spesso logori ed usati, è stato sinonimo di libertà artistica ed espressiva.
Il potente significato simbolico è manifestazione di un’introspezione, di un vissuto o di una critica sociale ed è sintomatico delle dinamiche della cultura consumistica contemporanea.
Queste opere di Franco Farina sono, dunque, testimonianze del nostro tempo.
I soggetti religiosi, mitologici e popolari si intrecciano con una miriade di simboli e significati profondi che è improbabile non percepire e che provocano necessariamente emozioni intense in chi le osserva.
Sono opere che parlano di corpi e di vita. Ed è incredibile come l’artista riesca prodigiosamente, attraverso materiali salvati sulla soglia di una fine prossima, a far sentire reale la presenza di queste figure e dei loro sguardi su di noi.
Questa mostra intende guidarci attraverso un viaggio metaforico in cui l’apparente insignificanza e l’abbandono si trasformano in simboli di potenziale personale e di trasformazione.
La genialità di Franco Farina sta nel semplice atto di trasformare materiali recuperati dalle discariche in opere d’arte affascinanti e dense di significati.
Alessia Dei
Craving Art
Franco Farina transforme des matériaux destinés à l’oubli en œuvres d’art.
En sélectionnant des tôles, de vieux objets et d’autres rebuts qui auraient fini dans des décharges, l’artiste façonne, avec une imagination extraordinaire, des figures mythologiques, religieuses et profanes, donnant ainsi une nouvelle vie à ces matériaux abandonnés.
à ces matériaux abandonnés. Il s’agit de morceaux d’objets qui ont terminé leur cycle de vie, qui ont été exploités jusqu’à ce qu’ils deviennent des objets de consommation.
qui ont été exploités jusqu’à devenir inutilisables dans la vie quotidienne, et donc déjà déjà oubliés.
Pour l’artiste, ces matériaux deviennent une matière picturale, comme la couleur sur une palette. Les marques laissées par le temps, la rouille, les bosses et la poussière contribuent à la création de l’œuvre. Les feuilles de vieux récipients sont façonnées et superposées jusqu’à composer l’image, puis clouées sur des supports souvent en bois de récupération, tels que des portes d’armoires et des plateaux de table.
Ces supports sont souvent faits de bois récupéré, comme des portes d’armoire ou des plateaux de table.
Les couleurs elles-mêmes sont fabriquées à partir de matériaux recyclés.
Le concept de recyclage est ici compris comme étant étroitement lié à l’individu et à sa vie.
Le recyclage des matériaux à travers l’art, le plus proche de l’artisanat, compte tenu de la contribution manuelle et technique que Farina’s a apportée à la fabrication de ses produits. manuelle et technique qu’implique le travail de Farina, est une manière allégorique de retrouver son existence, de se confronter intimement à sa propre histoire, sa propre douleur, comme source d’une nouvelle vie. Comme ces objets rejetés, qui renaissent meilleurs qu’avant, avec des valeurs plus profondes.
Franco Farina puise son inspiration dans l’observation du monde.
de tôle cloués sur le côté d’une vieille armoire.
L’artiste, tel un créateur (Note de l’artiste : « Créateur est un mot que je n’utilise jamais, jamais, trop grand, peut-être faiseur. jamais, trop grand, peut-être créateur. Quand je parle des œuvres, je dis : faire, composer, L’artiste, tel un créateur (note de l’artiste : « Créateur » est un mot que je n’utilise jamais, trop grand, peut-être fabricant.
et des conventions qui la définissent communément.
Le concept de création est inné dans la pratique artistique, où l’idée est incarnée par le matériau même qui la représente.
par la matière même qui la représente. Les déchets ont ainsi pris la forme de personnages fiers et respectables, à l’image de la matière qui les compose et leur donne vie.
Grâce à l’appel émotionnel de l’artiste, bien que leur cycle de vie soit terminé et qu’il n’y ait plus rien à exploiter, ils sont toujours là.
et qu’ils n’ont plus rien à exploiter, ils ont la possibilité de renaître, mais
sans rien perdre de son essence, de son vécu et de son histoire, sans lesquels il
leur histoire, sans laquelle ils perdraient leur force et leur beauté, qui va au-delà de l’apparence.
(Note de l’artiste : « Vous venez d’exprimer le concept de réutilisation, que je préfère à celui de recyclage.
que je préfère au recyclage et que vous développerez plus tard”).
Vivre
À travers l’iconographie mythologique ou sacrée et ses références symboliques, ainsi que des personnages communs, l’artiste aborde des thèmes existentiels qui confrontent la nature des déchets à la vie
et ses qualités, n’ont souvent jamais
n’ont souvent jamais émergé.
Le potentiel de l’individu est le thème sous-jacent, quel que soit le sujet.
Ses œuvres invitent en effet à une réflexion introspective à travers un message propulsif qui nous amène à nous renforcer à travers nos propres blessures.
Les marques laissées par le temps et la douleur nous ont conduits là où nous sommes.
Le rebut fait partie de la vie, il en est la métaphore. Et comment elle conserve les signes de son
de son flux et de ses expériences.
La vie humaine est éphémère et courte, et plus encore les appareils matériels qui la représentent et l’anticipent,
qui la représentent et l’anticipent, avec des rayures et des bosses qui ne peuvent être effacées.
ne peuvent être effacées.
Chaque nouveau moment vécu est une tache indélébile qui crée l’identité.
Chaque présent est la somme de tous les passés, dans une suite de passages transformateurs
La possibilité de transformer des matériaux de récupération en œuvres d’art évoque également une réflexion sur notre société de consommation et sur le cycle perpétuel de la création et de la consommation.
une réflexion sur notre société de consommation et le cycle perpétuel de la création et de la destruction.
destruction.
La mise au rebut est aussi inévitablement liée aux questions écologiques, et il ne fait aucun doute que cette exposition ne manquera pas de susciter des réflexions à cet égard. Cependant, Franco Farina s’éloigne du concept commun de recyclage, car ses œuvres maintiennent, avec force, leur identité de déchet.
avec force, leur identité de déchet.
Elles n’ont pas fait l’objet d’un renouvellement, ni d’un nettoyage de l’esthétique et du sens.
Tout en conservant consciemment des traces de leur fonction innée, elles restent ce qu’elles sont aujourd’hui, des déchets.
L’observation de chaque œuvre présentée dans cette exposition suscite un attrait, tant par la technique que par la profondeur émotionnelle qui s’en dégage. Une duplicité apparaît entre la vision
globale, qui veut embrasser le sens profond de l’œuvre, et une vision détaillée, qui s’attarde sur les détails, pour découvrir son origine, l’époque à laquelle elle appartient et la vie qu’elle a vécue.
Chaque élément se dispute l’attention du spectateur, simultanément,
sur le même plan d’action.
Ces œuvres ressemblent à des toiles peintes, mais en même temps elles deviennent sculpturales, car elles se détachent de la surface et entrent dans l’espace tridimensionnel du spectateur. La matière vécue ne peut donc laisser indifférent.
L’observateur ne peut manquer d’être attiré et se perd dans la contemplation des figures et de leurs moindres détails.
des figures et de leurs moindres détails, réfléchissant à de multiples aspects : la représentation, l’idée de réutilisation, les éléments individuels qui la composent et leur fonction d’origine.
L’œil peut alors se reposer dans les grandes zones d’air, où il n’y a pas la tension des pièces de métal façonnées qui se multiplient, mais où l’on peut voir des objets de toutes sortes.
des pièces métalliques façonnées qui se multiplient, mais seulement de la couleur et des
dans un équilibre parfait.
L’observateur en ressort presque confus, peinant à reconnaître si le point focal est la matière ou la représentation.
ou la représentation.
Ce qui est essentiel, c’est la relation qui se crée entre ces œuvres et le spectateur.
est ramené de force au contact de ce qu’il avait rejeté,
effacé de sa mémoire parce que devenu inutile.
Cette confrontation psychologique entraîne une réflexion sur le potentiel, sur les occasions manquées, sur le fait de ne pas avoir su ou de ne pas avoir pu.
occasions manquées, ne pas avoir su ou ne pas avoir voulu savoir, se redécouvrir, s’approfondir, approfondir et voir au-delà.
s’approfondir, approfondir et voir au-delà de ce que les conventions nous imposent.
Excursus
Depuis le début du XXe siècle, il existe une relation fréquente entre l’art et les objets
des objets du quotidien comme les déchets.
Les artistes ont commencé à s’inspirer de la vie quotidienne, de la ville et de leur environnement, en se les appropriant pour en faire une source d’inspiration.
de leur environnement, en se les appropriant comme moyen d’expression artistique. L’idée de réutiliser des matériaux dans l’art a commencé avec Pablo Picasso, en 1914, avec son premier collage.
premier collage. Il colle du papier peint, des journaux, des catons façonnés, etc,
pour créer, à partir de l’assemblage, une nouvelle interprétation de la réalité.
Marcel Duchamp, achetait des objets communs dans des boutiques parisiennes et les redéfinissait
intellectuellement par le simple fait d’être déclarés œuvres d’art.
Robert Rauschenberg, dans les années 1960, réalise des Combines, objets de son bureau, souvenirs ou rebuts, assemblés et verticalisés pour envahir l’espace du spectateur, comme son propre Paint Dripped Bed à accrocher au mur.
Schwitters, en Allemagne, a créé un appartement entier avec des déchets, ainsi que des collages.
En Italie, Alberto Burri a cousu ensemble de vieux sacs de jute usagés, créant ainsi des abstractions intellectuelles. L’utilisation de ces matériaux souvent usés et usagés était synonyme de liberté artistique et expressive.
Le sens symbolique puissant est une manifestation d’introspection, d’expérience ou de critique sociale.
ou d’une critique sociale et est symptomatique de la dynamique de la culture de consommation contemporaine.
de la culture de consommation contemporaine.
Les œuvres de Franco Farina sont donc des témoignages de notre époque.
Les sujets religieux, mythologiques et populaires sont entremêlés d’une myriade de symboles et de significations profondes qu’il est peu probable de ne pas retrouver dans les œuvres de Franco Farina.
de symboles et de significations profondes qu’il est improbable de ne pas percevoir et qui provoquent nécessairement des émotions intenses chez l’observateur.
Ce sont des œuvres qui parlent du corps et de la vie. Et c’est incroyable comme l’artiste réussit
prodigieusement, grâce à des matériaux sauvés au seuil d’une fin proche, à faireà rendre réelle la présence de ces figures et de leurs regards sur nous.Cette exposition entend nous guider dans un voyage métaphorique où l’insignifiance et l’abandon apparents se transforment en symboles de potentiel personnel et de transformation.et de transformation.Le génie de Franco Farina réside dans le simple fait de transformer des matériaux récupérés dans les décharges en œuvres d’art fascinantes et significatives.
Alessia Dei
Graving Art
Testo inglese